Dopo tanti giorni di silenzio, è giusto che Imprenditore Felice riparta, come dovrebbe ripartire tutta l’Italia del Fare.

E’ ampiamente riconosciuto che siamo un Paese diviso: l’Italia è stata caratterizzata per secoli da accentuate contrapposizioni, e lo è tuttora.

Molti altre nazioni del mondo occidentale hanno conosciuto nella loro storia profonde divisioni interne, ma in nessuno di essi questo tratto si è presentato e riprodotto in maniera tanto continuativa. La nostra, per ricorrere a un’abusata ma sempre significativa metafora, è rimasta nei secoli la terra dei guelfi e dei ghibellini.

Le tre Italie susseguitesi dopo il 1861, quella liberale monarchica, quella fascista e quella democratica repubblicana, hanno avuto tutte l’ambizione di dare allo Stato una base di consenso capace di saldare attorno alle istituzioni una coscienza unitaria stretta da un vincolo comune che andasse al di là delle inevitabili differenze ideologiche, culturali, politiche e sociali, ma il progetto è sistematicamente fallito.

Idem per la prima repubblica, dove la contrapposizione tra l’area cattolica e l’area comunista  ha accompagnato cinquant’anni della nostra storia, ma anche nella seconda Repubblica con il Berlusconismo e l’antiberlusconismo. Inoltre il Paese stesso è sempre andato a due velocità, il Nord e il Sud, l’Italia del Fare in qualsiasi area del Paese e l’assistenzialismo parassita.

Non è stata capace di realizzarlo l’Italia creata dal Risorgimento, non quella uscita dal «ventennio nero», e neppure quella nata dalla Resistenza, con la conseguenza che la dialettica tra le forze di governo e le forze di opposizione si è configurata in modo tale da produrre l’atavica «anomalia italiana», segnata da una politica conflittuale, dal contrasto tra il senso dell’etica pubblica e della legalità e la sua negazione, dalle culture della contrapposizione.

Anche nella malattia, nell’estrema difficoltà, lo dimostra ancora una volta questo 2020, questa emergenza sanitaria, sia le forze politiche, sia il Paese sono drammaticamente divise, tra i super garantiti stipendiati statali e chi non sa come fare ad arrivare a fine mese, l’Italia della burocrazia strangolatrice e l’Italia delle imprese e del lavoro.

Che il mondo ci invidia l’arte, la storia, la cultura e tante altre cose è risaputo, che però tra queste c’è anche l’imprenditorialità, le PMI forse un pò meno, che il Veneto venga studiato in tutte le università di economia USA, che la Lombardia sia temuta in Germania non tutti lo sanno, che in alcuni settori l’Italiano è la lingua che comanda tendenzialmente non ci viene detto.

Qui si preferisce invece incolpare ed umiliare gli imprenditori, in nome di un’invidia sociale seminata dalla cultura cattocomunista, spesso e volentieri solo per manifesta superiorità ad un apparato statale che non funziona, e non potrà mai essere competitivo. Lo Stato non ha il compito di fare impresa, ma di fare l’arbitro, di gestire le regole, di far rispettare le libertà e i diritti. Dimostrazione del fatto è quando un piccolo imprenditore si confronta in territori meno ostili, tutto il resto del mondo.

Tutti gli Italiani stanno assistendo allo spettacolo indecente di un governicchio che bene o male in fase uno ha fatto delle scelte, alcune giuste altre sbagliate, ma adesso a tre mesi dall’inizio dell’emergenza non sa che pesci prendere, di fronte alla crisi che si prospetta.

Ho nel cuore chi ancora non ha potuto riaprire, o chi riaprendo non riesce a trovare una via d’uscita da questa situazione, anche quando da giovane facevo il dipendente, sono sempre stato dalla parte delle aziende e di chi ha tutte quelle caratteristiche che servono per gestire un’attività.

Da oltre venticinque anni sono orgogliosamente una partita IVA, anche più d’una veramente, e forse per la prima volta nella mia vita mi trovo in uno strano limbo, tra quello che avrei voluto fare ed un futuro incerto più che mai.

Imprenditore Felice è e rimane un mio sogno divenuto realtà, le altre attività verranno traghettare nel nuovo mondo del lavoro che sorgerà dopo questa lunga notte, vedremo cosa ci aspetta, ma sicuramente un segnale forte e chiaro lo voglio dare.

Ai burocrati, ai politici, agli amministratori locali, chiedo per una volta, di essere dalla nostra parte, se non di aiutare almeno di non mettere i bastoni tra le ruote dell’Italia produttiva, di chi si tira su le maniche, non perché ce lo possiate impedire, ma solo per non farci arrabbiare e deconcentrare da quello che è il nostro e il vostro vero nemico.

A tutti gli Italiani, spero che questa crisi ci permetta di ripensare la nostra società e di migliorarla, di correggere quelle distorsioni che ormai abbiamo fatto nostre, dobbiamo necessariamente pensare differente.

A tutti i colleghi e amici, imprenditori, artigiani, professionisti, siete la più bella Italia, probabilmente non andrà tutto bene, ma quello che andrà bene sarà soprattutto merito vostro, la sfida che ci attende sarà epocale? Epocale sarà anche la nostra risposta!

Chi volesse concedermi l’onere di un supporto, di una strategia aziendale, di una consulenza, o anche solo uno scambio di vedute sul futuro prossimo che ci attende, è il benvenuto.