Aristotele docet, pensando meno al “quando” e più al “come” diventiamo padroni del tempo, anziché schiavi.

Una lezione, questa, che non riusciamo ad imparare da chi si è già posto il problema.

Oggi siamo tutti concentrati sulla dimensione temporale delle nostre azioni. A tal punto che la prima cosa a cui pensiamo al mattino, quando ancora non abbiamo fatto nulla, è di essere già in ritardo. Un paradosso! Il “quando” e il tempo sono diventati una priorità. Per soddisfarla ci siamo inventati corsi di time management e abbiamo piazzato alert ovunque: insomma tentiamo, in una lotta impari, di dominare noi il tempo che invece è il vero padrone della nostra vita.

Forse gli diamo troppa importanza, o troppo poca.

È curioso come peraltro sia un’ansia tutta moderna. In passato, quando si viveva di meno, e quindi il tempo poteva avere un’importanza maggiore, la concentrazione era più sul “come”. Chi ci ha dato questa lezione? I Greci, e prima di loro gli Indoeuropei, oggi forse i Sudamericani.

Perché i Greci utilizzavano una forma verbale invece di un’altra, non tanto per collocare l’azione nel tempo, quanto per definirne l’impatto nella nostra vita, in funzione di come veniva fatta. “Il tempo, la nostra prigione: passato presente futuro. Presto tardi oggi ieri domani. Sempre. Mai. Il greco antico badava poco al tempo…i greci si esprimevano in un modo che considerava l’effetto delle azioni sui parlanti. Loro, liberi, si chiedevano sempre come. Noi prigionieri ci chiediamo sempre quando”.

Contava l’aspetto del verbo, una categoria della lingua greca che si riferisce alla qualità dell’azione, senza una necessaria dimensione temporale.

Un esempio chiarirà meglio: l’aoristo. Al liceo diventa un passato remoto. Errore! L’aoristo è il tempo “indefinito, senza limiti, l’azione è puntuale irripetibile”. Con il presente definisco un’azione nel suo svolgimento in attesa delle sue conseguenze. Con l’aoristo esprimo un’azione sospesa, senza inizio e senza fine: “amo”, quando ami, stai. Seppure con accanto una sfumatura di nostalgia.
E che dire del perfetto del verbo “vedere” in greco che si traduce “so”: ho guardato attentamente e ora so. Tanto basta.

Pensando al “mio manager”, l’idea è questa: e se recuperassimo un po’ di “grecità”?
Se provassimo di più a occuparci del come, forse non avremmo tanta urgenza di gestire il tempo! Ne saremmo (seppure sempre da illusi) più padroni e meno vittime. E allora sì che potremmo poi seguire il consiglio di Orazio, e quel tempo godercelo fino in fondo.

Nella vita lavorativa un manager potrebbe per esempio stabilire anzitempo l’agenda di un meeting, rispettarla con rigore (risultando magari anche scomodo) e allocare un tempo per ciascun intervento, predefinito in funzione delle priorità; potrebbe scrivere una mail arrivando subito al punto e nel parlare cercare di dire poco, ma di dirlo in modo strutturato, affinché resti impresso il contenuto. I consigli si sprecano, ma il punto è questo: il quando è importante ma il come ancora di più.

E fino a qui tutto nella norma, i corsi di time management aiutano veramente a organizzarsi in maniera più efficiente, a non sprecare tempo che per il libero professionista, il manager, l’imprenditore è una risorsa mica da poco.

Si perché, a differenza del denaro, il tempo non può essere infinito, le giornate sono fatte di 24 ore, e più viene rincorso il tempo più passerà veloce, più vivremo male il presente.

Solitamente si lavora nel risparmio del tempo, sull’efficienza, difficilmente sulla qualità del tempo o abbiamo la capacità di cambiare paradigma applicandolo alla risorsa tempo.

Ormai è scientificamente provato che il lavoro si espande nel tempo a disposizione, se abbiamo 15 minuti per fare una presentazione riusciamo a farla nel tempo a disposizione, se invece disponiamo per lo stesso lavoro di 2 ore, impiegheremo tutte le 2 ore per la medesima presentazione, indifferentemente dalla qualità, ovvero potrebbe essere migliore la prima piuttosto che la seconda.

Quindi per essere più efficienti dovremmo concentrare una serie di lavori in tempi ristrettissimi, senza distrazioni.

Ma se ha ragione Aristotele, e lo scopo del lavoro è davvero solo quello guadagnarsi del tempo libero perché la società moderna da estrema importanza al primo, delegando il secondo ad un ruolo di minore importanza.

Pensa un po’ a come ti presenti, sono un ingegnere, un avvocato, sono una manager, sono un’infermiera, hai mai detto sono giocatore di calcetto dilettante?

Al massimo dopo cinque minuti di presentazione, gioco a calcetto per hobby, ho la passione per la cucina, per il basket, ecc…

Io non sono un commesso, ho un lavoro da commesso in un negozio.

Perché diamo al nostro lavoro tutta questa importanza? Da mischiarlo con l’Essere, il più profondo valore dell’Essere Umano.

Forse perché ci passiamo molte ore della nostra vita? Molte di più di quelle dedicate al tempo libero?

Nella realtà si dice anche sono disoccupato, quindi il lavoro ci identifica, ci categorizza, in questa società.

Forse anche nell’uso della lingua italiana, ci creiamo delle regole non scritte da noi a cui è difficile sottrarsi, a cui attraverso un volano naturale la stragrande maggioranza aderisce senza porsi nessun quesito su opportunità o svantaggi.

Mi piacerebbe sapere cosa ne pensi.